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14 giugno 1940: la svastica sulla Tour Eiffel

di Marco Innocenti

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13 giugno 2009

Maggio 1940, la Seconda guerra mondiale è cominciata da otto mesi.Potrebbe essere una primavera senza sussulti se, nella notte fra il 9 e il 10, Hitler non scatenasse la Wehrmacht a occidente. Il 14 capitola l'Olanda, il 17 cade Bruxelles. I panzer tedeschi, dopo avere attraversato le Ardenne sorprendendo il mondo, dilagano verso il cuore della Francia, la "douce France" che si riteneva invulnerabile dietro la Maginot. Bella e ricca è la campagna francese e dove crescono le ciliege domani sarà battaglia. Il 12 la Wehrmacht attraversa la Mosa. il 14 l'esercito considerato il più forte d'Europa è al collasso. Il 15 il premier Reynaud telefona stravolto a Churchill: "La strada per Parigi è aperta, la guerra è perduta". "Impossibile", ribatte Churchill, che il 16 vola nella capitale: "Dove sono le riserve strategiche?" "Non ce ne sono", risponde il generale Gamelin. La partita, dopo poche mani, è già finita. I cieli appartengono alla Luftwaffe. Invano monsignor Beaussart, arcivescovo di Parigi, prega con il calore della fede: "Abbiamo il diritto di chiedere la vittoria a Dio perché siamo il Bene contro il Male". In cinque giorni l'orgogliosa Francia è stata travolta, il resto sono solo spiccioli. L'esercito al cui rispetto è stata educata un'intera generazione di europei è a pezzi. Sulle bocche di tutti gira una parola nuova: Blitzkrieg, guerra lampo. Per i tedeschi significa vittoria, per i francesi lo strazio della sconfitta.

Una "passeggiata"
Nei ministeri della capitale si bruciano gli archivi: i diplomatici, in quei giorni, svolgono un lavoro manuale. Le colonne motorizzate della Wehrmacht sollevano nuvole di polvere nelle pianure. La Francia è in ginocchio, smarrita: una bambina sta seduta, sola, sulle macerie e tiene in mano una gabbia con un uccellino. "Hitler - si dice - non lo fermerà nessuno". Gli Stuka, con il loro raggelante urlo in picchiata, fanno impazzire gli uomini e demoliscono le cose. La Francia è fatta di milioni di profughi, uomini esausti, bambini spauriti, masserizie stipate nei carri bestiame, povere cose abbandonate. La guerra è guerra per tutti. Una donna scrive al marito che è al fronte: "Butta via il quadrifoglio che ti ho dato perché ci ha portato sfortuna". Il 10 giugno l'Italia dichiara guerra alla Francia per una fetta di bottino. Commenta Reynaud: "Il mondo giudicherà". Il 12 il governo dichiara Parigi città aperta e si trasferisce a Bordeaux. Reynaud si dimette; al suo posto il maresciallo Pétain, l'eroe di Verdun, il simbolo della Prima guerra mondiale. La Francia torna indietro per andare avanti.

I tedeschi entrano a Parigi
La mattina del 14 i primi reparti tedeschi entrano nella capitale. Sono fanti della Quarta armata. Nonostante l'esodo la capitale non è completamente vuota. Alcuni caffè e un paio di cinema degli Champs-Elisyées sono aperti, ma molte persiane sono serrate. I carriaggi trainati dai cavalli rumoreggiano lungo le strade. L'orologio di rue Saint-Lazare è stato fermato da una mano ignota alle 7.10, sulla Tour Eiffel sventola una bandiera tricolore. I soldati tedeschi salgono, la staccano e la svastica fa la sua inquietante apparizione sul tetto di Parigi. Ci resterà per quattro lunghi anni.

La gioia di Hitler
Il 17 Pétain chiede l'armistizio. Il 21, nella foresta di Compiègne, nella stessa carrozza ferroviaria in cui erano state dettate le condizioni di resa ai tedeschi sconfitti nel 1918, la Francia capitola. L'odio di Hitler è vendicativo e trionfante. Rapito dalla gioia, fa larghi sorrisi e saltella. Il suo goffo spettacolo pone la parola fine a una tappa chiave di una guerra che sembra già vinta. Non sarà così. Lo showman di Compiègne pagherà caro un peccato di presunzione: quello di credere che la svastica possa sventolare arrogante su tutte le torri d'Europa.

13 giugno 2009
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